Tutela infortunistica da contagio sul lavoro: chiarimenti Inail
L’Istituto, dopo aver richiamato i principi generali in relazione ai contenuti del citato art. 42, già espressi nella precedente circolare n. 13/20 ed a cui si fa rinvio per una puntuale conoscenza, ha ritenuto opportuno evidenziare che la ratio che ha dato seguito a tale disposizione normativa è quella di escludere totalmente l’incidenza degli infortuni da COVID – 19 in occasione di lavoro sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro, in quanto tali eventi infortunistici non sono considerati direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro.
Ai fini assistenziali, pertanto, tali eventi devono essere trattati allo stesso modo dell’infortunio in itinere. Ciò sta a significare che al lavoratore viene riconosciuta la tutela assicurativa, ma al datore di lavoro non viene imputata alcuna conseguenza per l’evento infortunistico.
Fermo restando che la tutela infortunistica interessa i lavoratori che abbiano contratto il contagio in ambienti di lavoro, l’Inail richiama i principi cardine su cui si fonda l’accertamento nel caso di malattie infettive per le quali è difficile, se non impossibile, stabilire il momento del contagio.
In particolare, non potendosi ammettere nessun automatismo ai fini dell’ammissione alla tutela assicurativa, l’accertamento da parte dell’Inail deve trovare fondamento in elementi noti, e quindi indizi gravi, precisi e concordanti, sui quali si verrà a basare il principio della presunzione semplice di origine professionale, ferma restando la possibilità della prova contraria a carico dell’Istituto.
A tal riguardo è necessario ricordare che, come espressamente precisato dallo stesso Istituto con la circolare n. 13/20, nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari, per i quali vige, in virtù dell’elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico, la presunzione semplice di origine professionale, considerata l’elevatissima probabilità che tali operatori vengano a contatto con il COVID – 19. Ovviamente, tale casistica non esaurisce l’ambito di intervento della tutela assistenziale, dovendosi considerare casi residuali, nei quali manca l’indicazione o la prova di specifici episodi di contagio o comunque indizi gravi precisi e concordanti tali da far scattare la presunzione semplice.
A tal riguardo, viene espressamente confermato che:” il riconoscimento dell’origine professionale del contagio è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio”.
In virtù di tale chiarimento, pertanto, viene confermato che non devono essere confusi i presupposti per l’erogazione dell’indennizzo da parte dell’Inail con quello per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro, che va accertato con criteri diversi rispetto ai primi.
I presupposti della responsabilità, infatti, oltre a dover trovare conferma nella prova del nesso di causalità, devono trovare fondamento anche nell’imputabilità di una condotta quantomeno a titolo di colpa del datore di lavoro.
Visto e considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza, nonché dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero, l’eventuale riconoscimento della prestazione assistenziale non costituisce presupposto per sostenere l’accusa in sede penale né tantomeno in quella civile, dove la colpa costituisce condicio sine qua non ai fini del riconoscimento della responsabilità datoriale.
Richiamando la massima della sentenza della Cassazione n. 3282/20, l’Istituto ha, in sostanza, confermato che la responsabilità datoriale è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche; nel caso di COVID – 19, quindi, dal mancato rispetto dei Protocolli e delle linee guida governative e regionali di cui all’art. 1, co. 14 del D.L. n. 33/20.
L’azione di regresso, non essendo subordinata ad una condanna penale, presuppone la configurabilità del reato perseguibile d’ufficio a carico del datore di lavoro o di altra persona che opera per suo conto.
Pertanto, l’attivazione del regresso, conclude l’lnail, non può basarsi sul semplice riconoscimento della tutela assistenziale, ma deve necessariamente essere collegata all‘imputabilità a titolo di colpa della condotta datoriale.
Al fine di gestire pertanto in modo omogeneo e secondo detti principi possibili azioni di regresso, l’Istituto raccomanda alle proprie Avvocature territoriali di trasmettere i relativi atti, accompagnati da una relazione che ne evidenzi i presupposti richiesti, alla Avvocatura generale.
Si fa riserva di fornire ogni ulteriore chiarimento in merito, considerata anche l’annunciata modifica legislativa da parte della Ministra del Lavoro.