Terre e rocce da scavo, per i piccoli cantieri il decreto non semplifica

Si è svolta oggi, 15 marzo, l’audizione informale dell’ANCE sullo Schema di DPR recante “Disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo”(Atto n. 283), attuativo della delega contenuta all’art. 8 del DL 133/2014, convertito nella L. 164/2014.
La delegazione associativa ha evidenziato, in premessa, come la disciplina delle terre e rocce da scavo, oggetto negli ultimi anni di numerosissime modifiche, sia stata efficacemente semplificata dall’art.41 bis del DL 69/13, convertito nella L.98/13, con riferimento ai cantieri con riferimento ai cantieri relativi ad opere non soggette a VIA di qualsiasi dimensione ed alle opere soggette a VIA-AIA con volumi di scavo sino a 6.000 mc.
In oltre un biennio di applicazione le procedure dell’art. 41 bis, utilizzate per almeno l’80% dell’attività del settore delle costruzioni, non hanno evidenziato particolari problematiche anzi hanno rappresentato una normativa “gradita” sia dalle imprese, che dalle amministrazioni locali ed hanno consentito di riutilizzare in altre opere buona parte dei materiali scavati.
Un ulteriore intervento legislativo come quello attuato dallo Schema di DPR sarebbe quindi dovuto essere circoscritto ad alcune fattispecie ben individuate. Restavano, in particolare, due esigenze: chiarire alcuni aspetti in modo che le grandi opere o comunque quelle tecnologicamente più complesse che richiedono tecniche innovative potessero essere realizzate; semplificare l’iter amministrativo.
Al riguardo, ha rilevato come le procedure delineate nello Schema rappresentino invece tutt’altro che una semplificazione, visto che per i “cantieri normali” da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e una comunicazione (in alcuni casi si aggiungono altre 2 comunicazioni) si passa a 4 dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà (in alcuni casi ne sono necessarie altre due) oltre alla necessità di attendere alcuni giorni prima dell’inizio dei lavori. Nel caso poi di aree soggette a bonifica ovvero di aree con fondo naturale superiore a quello di norma ammesso, le procedure sono state rese oltremodo complesse essendo state estese alle piccole opere quelle previste per le opere soggette a VIA/AIA.
Entrando nel merito dell’analisi dei contenuti dello Schema la delegazione ha, quindi, illustrato alcune osservazioni incentrate sull’obiettivo, sotteso al provvedimento, di facilitarele trasformazioni urbane e la realizzazione delle infrastrutturedi ogni tipo e dimensione. In via preliminare ha rilevato, che per i cantieri relativi ad interventi non soggetti a VIA o soggetti a VIA e con volumi di scavo fino a 6.000 mc, il DPR non reca alcuna semplificazione anzi costituisce un appesantimento procedurale ed economico non indifferente e soprattutto non va nella direzione di agevolare l’immediato riutilizzo del materiale. In questo senso il testo costituisce un’occasione mancata così come lo è nel caso dei materiali di riporto nei confronti dei quali sarebbe stato opportuno riesaminare, pur nell’ambito della delega conferita dall’art. 8, la normativa più generale sulle bonifiche.
Nello specifico, riguardo ai materiali da riporto legati alle vicende storiche del luogo e cioè i quelli che la normativa, sino ad oggi vigente, definisce come orizzonte stratigrafico parificandoli al suolo naturale, ha evidenziato che lo Schema introduce la definizione di “materiali di riporto conforme” quasi a completamento/precisazione dell’altra, anch’essa contenuta nell’art. 2 comma 1 lett. c), di “matrice materiale di riporto”. Per quest’ultima definizione le indicazioni sono fondamentalmente corrette, così come opportuni sono i chiarimenti sulle modalità di quantificazione del materiale di riporto quando esso è equiparato alle terre e rocce da scavo per le finalità dell’utilizzo in un altro sito. Infatti nella definizione data dall’art. 2 lett. c) comma 1 è espressamente detto “Ai fini delle attività e degli utilizzi di cui al presente regolamento” e cioè l’equiparazione della “matrice materiali di riporto” al sottoprodotto terre e rocce da scavo. Al riguardo, è necessario integrare l’art. 2 comma 1 lettera d) con una disposizione finalizzata proprio a risolvere la questione dei siti con presenza di riporti in varie percentuali, precisando che “il materiale di riporto conforme” per essere considerato tale va analizzato secondo le indicazioni contenute nell’art. 2 comma 1 lett. d).
I materiali di riporto che non sono risultati conformi al test di cessione effettuato sul materiale tal quale costituiscono, invece, fonte diretta o indiretta di contaminazione per le acque sotterranee e come tali debbono essere rimossi o resi conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovono i contaminanti ovvero devono essere sottoposti a messa in sicurezza permanente attivando le procedure di cui al Titolo V della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute. Conseguentemente nell’Allegato 4, primo periodo, dello Schema va  precisato che il test di cessione di cui al DM 5 febbraio 1998 va eseguito sul campione di materiale tal quale eventualmente richiamando le metodiche UNI 12457-2 e 10802.
Con riferimento agli elementi inquinanti nelle terre e rocce da scavo, ha evidenziato la criticità della norma che attribuisce all’’Istituto Superiore di Sanità la possibilità di individuare nuovi parametri di inquinamento delle terre e rocce, in aggiunta o modifica a quelli già oggi vigenti. Nella convinzione che una funzione legislativa/amministrativa non possa che essere di competenza del Parlamento ovvero del Governo o dei Ministeri, la norma andrebbe modificata nel senso che l’Istituto Superiore di Sanità possa proporre la modifica dei parametri al Ministero dell’ambiente.
Ha altresì, sottolineato che lo Schema di DPRindividua, agli artt. 11-12, le procedure per la gestione come sottoprodotti delle terre e rocce provenienti dai siti nei quali il fondo naturale del terreno è superiore ai limiti di legge (presenza di inquinamento naturale e non umano), ovvero dai siti soggetti a bonifica. Tali procedure erano già presenti nel DM 161/12 e risultavano applicabili solo nelle opere soggette a VIA/AIA, mentre per tutti gli altri cantieri era stata riconosciuta dall’art. 41 bis del DL 69/13 la possibilità di utilizzare tali terre senza specificare particolari procedure anche perché si tratta di situazioni già note sia alle ARPA locali che ai comuni.
Lo schema di DPR, all’art. 20, invece proprio per i piccoli cantieri e i cantieri di opere non soggette VIA/AIA e soggette VIA/AIA ma con volumi di scavo sino 6.000 mc. prevede l’applicazione generalizzata delle medesime procedure previste per opere di rilevantissima entità con i relativi tempi e costi a carico degli operatori. Prima conseguenza di tale scelta che i tempi di preavviso per l’inizio dei lavori da 15 gg (secondo le modifiche previste dallo schema attuale) passano come minimo a 180 gg, che vi saranno costi amministrativi per gli operatori rilevanti (analisi in contraddittorio con ARPA ecc.) e che conseguentemente, vista lasoglia di economicità, si preferirà inviare il materiale a discarica per volumi < 10.000 mc.
Al riguardo, stante l’importanza della questione del fondo naturale, che riguarda ampie porzioni del nostro territorio, la sua eventuale regolazione dovrebbe contemplare  modalità semplificate non con il semplice richiamo agli artt. 11-12 del DPR.
Per i cantieri sottoposti alla normativa degli arti. 20 e 21 dello schema si potrebbe quindi ipotizzare che la dichiarazione sostitutiva di atto notorio debba essere accompagnata in questo caso dalle analisi del terreno effettuate da un soggetto abilitato.
La delegazione si è, altresì, soffermata sul tema dei piccoli cantieri derivanti da manutenzioni, evidenziando come si tratti di questione assai articolata anche perché nella prassi ci sono numerosissimi interventi legati a manutenzione ordinaria/straordinaria, allacciamenti ecc. soprattutto nei servizi a rete, con volumi di scavo nell’ordine di poche decine di mc ciascuno. Le procedure indicate dal DPR per i cantieri sino a 6.000 mc sono state rese peraltro più complesse e sono ancora più inapplicabili per questi interventi. La situazione è stata altresì complicata dalla abrogazione dell’art. 266 comma 7 del D.lgs 152/06 con il quale si prevedeva una semplificazione generalizzata per l’attività dei piccoli cantieri e quindi non solo per le terre e rocce. Occorrerebbe dunque prevedere una normativa mirata per i piccoli in grado di consentire di reimpiegare all’interno del cantiere di produzione il materiale (ai sensi dell’art. 185 D.lgs 152/06) e di  trattare quale sottoprodotto il materiale di scavo.
Ha, infine, rilevato la necessità di rendere più chiara la formula utilizzata al comma 1 dell’art.24 del testo al fine di evitare contrasti con l’art. 185 D.Lgs 152/06 e la Direttiva EU 2008/98, che prevedono che il suolo possa rimanere in sito.