Semplificazioni nel settore fiscale: audizione dell’ANCE in Parlamento

Si è svolta il 6 giugno c.m. l’audizione dell’ANCE presso la Commissione bicamerale per la semplificazione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel settore fiscale.

Il Vice Presidente per l’Area economico-fiscale-tributaria, Giuliano Campana, che ha guidato la delegazione associativa, ha evidenziato in premessa che la complessità del sistema fiscale italiano è unanimemente riconosciuta e rappresenta un forte limite per chi esercita un’ attività produttiva, senza contare i costi elevatissimi sostenuti dalle imprese per adempiere agli innumerevoli obblighi fiscali e per affrontare il contenzioso connesso agli errori, proprio per la complessità della normativa.

Il settore edilizio rappresenta, a tal fine, un chiaro esempio degli aspetti deteriori del nostro sistema fiscale: non esiste altro comparto in cui le regole fiscali siano così complesse da rendere necessario uno specialista della normativa del settore, per districarsi nelle migliaia di norme fiscali applicabili. Basti pensare alla disciplina dell’IVA specifica per il settore immobiliare, alla tassazione degli immobili delle imprese o all’imposta di bollo per la partecipazione alle gare pubbliche. Si aggiungano, inoltre, i continui e repentini cambiamenti normativi, che rendono ancora più difficile capire preventivamente il corretto comportamento da assumere di fronte al Fisco.

Una recente indagine ha evidenziato come una piccola media impresa deve sottostare ogni anno a circa 25 adempimenti fiscali ed ad oltre 70 scadenze tributarie. Elevatissimo anche il numero di adempimenti a carico dei contribuenti, tali da costituire nei fatti un serio disincentivo all’investimento immobiliare.

A fronte di tale situazione, ha evidenziato la necessità che il Legislatore provveda ad avviare una forte semplificazione del sistema fiscale, che, per le imprese di costruzioni, andrebbe attuato secondo 2 direttrici fondamentali:

-da un lato, migliorare il rapporto di collaborazione fra fisco e contribuenti, che viene, ad oggi, ostacolata da una serie di adempimenti “vessatori”, in particolare in tema di IVA; che si traducono in un mero costo economico per l’impresa, a fronte di una assoluta mancanza di vantaggi premiali;

-d’altro lato, superare gli ostacoli all’adempimento fiscale, dovuti all’elevato grado di incertezza che, spesso, caratterizza il calcolo stesso del debito tributario, sia in fase di acquisto che di possesso degli immobili.

Il Vicepresidente ha, poi, illustrato alcuni aspetti critici della fiscalità edilizia, proponendo soluzioni che, se adottate, produrrebbero anche una forte semplificazione delle regole attualmente esistenti.

Si è soffermato, quindi, in primo luogo, sulla tematica dello split payment, ricordando che, a seguito dell’autorizzazione delle autorità comunitarie, il DL 50/2017 ha stabilito che il meccanismo della “scissione dei pagamenti” (cd. “split payment”) venga prorogato sino al 2020, superando così la data del 31 dicembre 2017, originariamente fissata dalla stessa Unione europea quale termine ultimo d’applicazione dello strumento. Per le fatture emesse dal 1° luglio 2017, relative a cessioni di beni e prestazioni di servizi, il meccanismo dello “split payment” viene esteso, poi, anche nei confronti delle società a partecipazione pubblica.

In generale, la proroga e l’ampliamento dell’ambito applicativo dello “split payment” vanno valutate negativamente, in quanto l’obbligo di fatturazione elettronica nei rapporti con tutte le PP.AA. è già in vigore dal 2015 ed è considerato elemento già sufficiente per il contrasto all’evasione IVA.

Per le imprese che operano nel comparto dei lavori pubblici, le conseguenze di queste ultime modifiche attengono sempre all’incremento esponenziale del credito IVA.

Sono evidenti le complicazioni del sistema fiscale che la proroga e l’estensione dello split payment (così come il reverse charge) producono sugli operatori del settore.

Per risolvere il problema del credito IVA, anche nell’ottica della semplificazione, ad avviso dell’Associazione, basterebbe potenziare l’uso della fatturazione elettronica, facendo nuovamente incassare l’IVA anche alle imprese di settore, eliminando lo split payment e il reverse charge. Nel frattempo, però, occorre rendere immediato il tempo di recupero del credito IVA semplificando le regole per l’accesso ai rimborsi. In particolare si potrebbero adottare ulteriori meccanismi operativi di accelerazione del recupero del credito, quali, ad esempio un modello di dichiarazione IVA mensile che consenta la compensazione del credito IVA già il mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero l’applicazione dello stesso meccanismo di versamento dell’IVA anche nei confronti dei fornitori. A titolo esemplificativo, se l’impresa presta servizi o cede beni ad una pubblica amministrazione, non riceve l’IVA applicandosi lo “split”. La stessa impresa non dovrebbe pagare l’IVA sulle fatture dei propri fornitori, proprio mediante l’applicazione del “reverse”. La sua posizione IVA in questo modo verrebbe quasi del tutto azzerata, senza che emerga alcun credito.

Nell’ambito degli appalti pubblici ha, poi,  precisato che uno degli aspetti fiscali che risultano più critici riguarda il corretto assolvimento dell’imposta di bollo sugli atti da produrre sia in sede di partecipazione che di aggiudicazione dei lavori.

La normativa che disciplina la materia, infatti, individua diverse categorie di atti, differenziando l’applicabilità e la misura del tributo, a seconda dell’obbligo di presentazione dell’atto ai competenti uffici amministrativi per la sua registrazione. Questo, di fatto, genera errori senza colpa ma che si trasformano in costi elevatissimi a carico delle imprese che devono produrre tutta la documentazione necessaria nelle diverse fasi di gara.

Sul tema, il Vicepresidente ha ricordato che da tempo l’ANCE sostiene l’assoluta urgenza di un vero e proprio riordino della materia, preso atto, nel corso degli anni, che le Amministrazioni Pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di stazioni appaltanti, assumono comportamenti spesso contraddittori e difformi da territorio a territorio. Per far fronte a questa situazione, occorrerebbe, ad esempio, l’introduzione di un’imposta d’atto “sostitutiva”, applicata in misura proporzionale sull’importo dei lavori posto a base d’asta.

Si è, inoltre, soffermato sulla riforma della tassazione locale sugli immobili evidenziando la necessità di una sostanziale semplificazione ed un assetto definitivo e stabile.

Il continuo modificarsi delle norme di riferimento ha prodotto, infatti, solo un indiscriminato aumento della pressione fiscale sugli immobili, legato quindi a fenomeni patologici – più volte denunciati – che, ad esempio per le imprese di costruzioni, sono stati rappresentati dalla tassazione IMU e TASI sui fabbricati costruiti o ristrutturati per la successiva vendita, cd. “beni merce” delle imprese edili.

È vero che, dal 2013, è stata esclusa la tassazione IMU su tali fabbricati, fintanto che non siano in ogni caso locati, ma poi, la successiva introduzione della TASI ha comunque comportato la sostanziale reintroduzione di un’imposta patrimoniale, camuffata da imposta sui servizi, tra l’altro non fruiti da tale tipologia fabbricati. Inoltre, l’esclusione da prelievo IMU e TASI non si applica in nessun caso alle aree destinate alla costruzione per la successiva vendita, facenti parte anch’esse del “magazzino” delle imprese edili.

Una disciplina impositiva così complicata e diversificata sui cd. “beni merce” delle imprese edili impone agli operatori economici del settore l’osservanza di una serie di adempimenti operativi a pena di perdita di ogni possibile beneficio. Per esempio, per fruire dell’esenzione ai soli fini IMU per gli immobili costruiti e ristrutturati delle imprese edili, rimasti invenduti, v’è obbligo, a pena di decadenza, dai citati benefici, di presentare la dichiarazione IMU, nella quale deve essere attestato il possesso dei requisiti e devono indicarsi i dati catastali degli immobili ai quali si applica il beneficio. Discorso analogo per il riconoscimento della qualifica di un terreno come “area edificabile” che deve essere verificata, ai fini IMU/TASI, per ciascun periodo d’imposta.

Al riguardo, ha rilevato che l’obiettivo principale dell’ANCE è di vedersi riconosciuta l’esenzione integrale da prelievo IMU/TASI per gli “immobili merce”, in virtù dei principi di chiara equità fiscale in quanto tali immobili non sono ancora usciti dal circuito produttivo, cioè non hanno prodotto ancora ricavi e non fruiscono dei servizi comunali.

In subordine, ha espresso l’augurio di una reale razionalizzazione degli adempimenti necessari alla verifica dei requisiti per accedere all’esclusione da imposizione, quantomeno per i “beni merce” non più soggetti ad IMU e, più in generale, l’auspicio che si giunga ad una forma di tassazione unica sugli immobili, stabile quanto meno per tre anni ed integralmente destinata ai Comuni per il finanziamento dei servizi (“service tax”), sempre con l’ovvia esclusione dei beni prodotti dalle imprese edili (aree e fabbricati costruiti, o ristrutturati, per la successiva vendita.

Si è, altresì, affrontata la questione dell’applicazione della regola del “prezzo-valore” nei trasferimenti immobiliari, ricordando che la normativa vigente impone di considerare come base imponibile degli immobili oggetto di trasferimento a titolo oneroso il valore venale in comune commercio del bene. Tuttavia, è prevista una deroga a tale principio, ossia la regola del c.d. “prezzo valore” agli acquisisti di abitazioni effettuati da persone fisiche in base al quale l’imposta di registro e le imposte ipotecarie e catastali possono applicarsi, su opzione dell’acquirente, sul “valore catastale” dell’immobile, a prescindere dal prezzo di cessione dichiarato nel rogito. Il citato regime, non può trovare applicazione per le operazioni di cessione soggette ad IVA, ovverosia per le operazioni di vendita di immobili abitativi effettuate dalle imprese che li hanno costruiti per la vendita.

Tale previsione normativa determina una sostanziale disparità di trattamento e l’ANCE non può, tuttavia, che prendere atto del fatto che il ricorso all’opzione del “prezzo-valore” determina notevoli vantaggi nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuenti: alla prima, infatti, viene garantito un gettito facilmente controllabile e predeterminabile ed ai secondi viene praticamente escluso il rischio di accertamento. Pertanto, è comunque auspicabile un’estensione del suddetto meccanismo, anche alle operazioni soggette ad IVA.

Per superare, però, i vincoli comunitari che impediscono l’imposizione ai fini IVA su un valore diverso dal corrispettivo di vendita, indicato in fattura, ha auspicato l’introduzione di meccanismi premiali (tipo detrazioni o crediti d’imposta). Ad esempio, potrebbe essere introdotta una detrazione d’imposta o un credito d’imposta commisurata alla differenza tra l’ammontare dell’IVA effettivamente corrisposto dall’acquirente ed indicato in fattura e l’importo dell’imposta che deriverebbe dall’applicazione della corrispondente aliquota al “valore catastale” dell’immobile. Tale proposta consentirebbe anche nell’ ambito dei contratti aventi ad oggetto fabbricati soggetti ad IVA, di favorire l’emersione del reale valore del bene, con evidenti vantaggi anche per l’amministrazione finanziaria.

Sono state, poi, evidenziate le criticità connesse al regime fiscale applicato ai trasferimenti di fabbricati da demolire sottolineando come sia prassi diffusa che, nel normare ipotesi di sostituzione edilizia nell’ambito dei cd. “piani casa”, gli enti regolatori preposti -le Regioni- impongano la demolizione del fabbricato esistente oggetto del “piano” e la sua ricostruzione, a fronte della quale accordano un premio di cubatura applicabile al riedificando edificio. Tali iniziative spesso vengono realizzate attraverso lo strumento della “permuta immobiliare”, mediante la quale il proprietario del vecchio fabbricato lo cede ad un’impresa di costruzioni che, dopo aver realizzato materialmente l’intervento di sostituzione, retrocede in permuta allo stesso soggetto una porzione del nuovo fabbricato.

Si è, poi, sottolineato che sulla questione relativa alla qualificazione – ai fini delle imposte sui redditi – della cessione del fabbricato esistente destinato alla successiva demolizione e ricostruzione con eventuale incremento di volumetria l’Agenzia delle Entrate ha espresso il proprio orientamento ritenendo che l’atto di compravendita debba essere riqualificato come cessione di un terreno edificabile piuttosto che di fabbricato, con conseguente imposizione ai fini IRPEF dell’eventuale plusvalore rinvenibile nella differenza tra costo di acquisto del terreno e prezzo percepito.

Sul tema, l’ANCE ritiene che sia urgente intervenire anche sotto il profilo normativo per definire univocamente il regime fiscale applicabile ai fini di tutte le imposte sull’acquisto e sul possesso che favorisca nuove operazioni immobiliari con positivi effetti per le imprese, sui livelli occupazionali e anche per l’Erario cui preverrebbe un maggior gettito su tali operazioni. Ad esempio, potrebbe intendersi univocamente, ai fini di tutte le imposte, come trasferimento di fabbricato, e non già di area edificabile, la cessione di un immobile da demolire, qualora la cessione venga realizzata nell’ambito di un progetto di sostituzione edilizia, incentivato da leggi regionali, con premialità urbanistiche.