Ristrutturazione dei ruderi: la Cassazione sul concetto di “preesistente consistenza”

La Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza dell’11 novembre 2015, n. 45147 ha fornito alcuni chiarimenti sul concetto di “preesistente consistenza” nell’ambito della nuova normativa introdotta dal Decreto Legge 69/2013, convertito in Legge 98/2013 (cd. Decreto fare) sull’inclusione degli interventi di rispristino di edifici crollati o demoliti nell’ambito della ristrutturazione edilizia.

Come è noto l’art. 30, comma 1, lett. a), del Decreto Legge 69/2013, convertito in Legge 98/2013, ha aggiunto all’art. 3, comma 1, lett. d) del Dpr 380/2001 (Testo Unico Edilizia), relativo agli interventi di ristrutturazione edilizia, anche quelli “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purchè sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Tale modifica, però, è stato specificato non si applica agli interventi su immobili soggetti a vincolo ai sensi del Dlgs 42/2004 nel caso venga modificata la sagoma dell’edificio. In tali casi la fattispecie continua ad integrare la fattispecie della nuova costruzione.

Con le novità apportate dal Decreto Fare è stata definita in via legislativa una dibattuta questione a livello giurisprudenziale.

La giurisprudenza antecedente al Decreto Legge 69/2013, infatti, escludeva la qualificazione come ristrutturazione edilizia di interventi finalizzati a ricostruire edifici allo stato di rudere sul presupposto che la demolizione e successiva ricostruzione richiedesse necessariamente la sussistenza di un  immobile da ristrutturare.

Una struttura identificabile come organismo edilizio del quale rimangano soltanto pochi residui e tracce, la cui opera muraria non consenta, in realtà, la sicura individuazione dei connotati essenziali del manufatto originario e, quindi, la sua fedele ricostruzione, ha portato la giurisprudenza ad essere concorde nel considerare l’immobile un rudere e la relativa ricostruzione come intervento di “nuova costruzione” non equiparabile alla ristrutturazione edilizia (tra le tante Cons. Stato n. 5375/2006; Cassazione n. 45240/2007 etcc), con tutte le conseguenze negative del caso in merito alle disposizioni in tema di distanze, altezze ecc.

Con le modifiche al Testo Unico Edilizia previste dal Decreto legge 69/2013, come convertito nella Legge 98/2013, gli interventi di ripristino di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione rientrano nella “ristrutturazione edilizia” purchè sia possibile “accertarne la preesistente consistenza”.

Ciò potrà essere dimostrato, ad esempio, con documentazione fotografica, cartografie etc e fondarsi su dati certi ed obiettivi in base ai quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza del manufatto preesistente (Cassazione, terza sezione, n. 5912/2014; n. 26713/2015).

Sul punto la Cassazione, con la sentenza in commento, ha ulteriormente precisato che l’utilizzazione del termine “consistenza” inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.), con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del requisito richiesto dalla norma.

Detta verifica, inoltre, non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma dovrà, invece, basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili.

Nel caso affrontato dalla Cassazione la fattispecie riguardava un intervento realizzato prima delle modifiche apportate dal Decreto Fare e, come tale, si è esclusa l’applicabilità delle relative novità normative.

In allegato la sentenza della Cassazione, sezione terza, dell’11 novembre 2015, n. 45147

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