Rifiuti da costruzione e demolizione: servono cultura del recupero, regole certe e più impianti

Si è svolta il 4 c.m. l’audizione informale dell’Ance, in videoconferenza, presso la Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

L’ing. Piero Petrucco, Vice Presidente Ance con delega alla sostenibilità, nonché Presidente della Consulta Nazionale delle Specializzazioni, ha evidenziato  in premessa come la gestione di rifiuti inerti sia un tema di fondamentale importanza e di grande attualità, in quanto strettamente correlato alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

L’Ance ha posto ormai da tempo queste tematiche al centro delle sue azioni ed iniziative, consapevole del ruolo primario che il settore delle costruzioni ha nel processo di transizione all’economia circolare e più in generale degli importanti benefici, in termini di sostenibilità, che derivano da una gestione sempre più virtuosa dei rifiuti e dalla promozione di un mercato per i materiali recuperati.

La centralità della questione è resa evidente non solo dalla circostanza che i rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano uno dei maggiori flussi di rifiuti speciali – stando ai dati raccolti nell’ultimo report predisposto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente – ma anche dal fatto che tali attività sono strategiche, ai fini dell’attuazione del Green Deal e della politica industriale europea. L’Italia, secondo le ultime elaborazioni dell’ISPRA, ha sicuramente raggiunto gli obiettivi fissati dall’Unione Europea per quanto riguarda il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione. Già nel 2019, infatti, circa il  78% di questa tipologia di rifiuti è stata avviata a recupero, ben oltre quindi il target del 70% da raggiungere per il 2020.

Al tempo stesso, però, se si analizza la situazione per macro-aree geografiche emerge come in alcune realtà territoriali sia ancora molto importante, in termini quantitativi, il ricorso allo smaltimento. Ciò dipende da vari fattori, innanzitutto dall’assenza o comunque dall’insufficienza/incapacità degli impianti di recupero. Non può esistere economia circolare senza impianti di recupero: se l’obiettivo – condiviso da tutti – è effettivamente quello di favorire la transizione alla circolarità, occorre allora accrescere la dotazione impiantistica e renderla adeguata alle attuali esigenze. In questo senso un primo importante passo è stato fatto con il decreto legge 77/2021, con la norma sui cd. “impianti mobili”, ma occorre compiere scelte ancora più coraggiose che ci consentano di essere competitivi con gli altri Paesi europei.

È necessario dare attuazione a strumenti fondamentali come i sottoprodotti, che scontano ancora, dopo tanti anni, una disciplina incerta e quindi una scarsa applicazione. Da tempo, poi, l’Ance evidenzia la necessità di adottare i cd. “decreti end of waste”. Ad oltre 11 anni dall’introduzione di questo istituto sono stati predisposti solo cinque decreti, di cui solo uno riguarda il settore delle costruzioni, quello sul fresato d’asfalto, che peraltro presenta numerose criticità. È stato accumulato un ritardo incredibile che deve essere colmato nel più breve tempo possibile.

Occorre infine sviluppare una cultura per il recupero, che sia in grado di superare la persistente diffidenza verso i materiali recuperati e di creare le condizioni per favorire il loro utilizzo al posto delle materie vergini. Al riguardo, l’Ance  negli anni ha incrementato gli sforzi per promuovere e diffondere comportamenti sempre più virtuosi,  orientati alla circolarità delle risorse e alla tutela dell’ambiente. Grazie anche alla struttura associativa, che consente una presenza capillare su tutto il territorio nazionale, è stata da tempo avviato una costante attività di formazione ed informazione delle imprese associate, con l’obiettivo di favorire la corretta applicazione delle norme e delle procedure ambientali.

Un percorso continuo, finalizzato ad accrescere la capacità delle imprese di far fronte ad un panorama normativo in continua evoluzione. È innegabile, infatti, che in materia ambientale esista un quadro regolatorio davvero mutevole, condizione questa che ha concorso a ingenerare tra gli operatori una grande incertezza applicativa e in molti casi anche sfiducia verso le istituzioni, rappresentando di fatto un vero e proprio disincentivo a fare impresa. Troppo spesso si parla di deregulation, ma quello di cui avvertiamo un maggiore bisogno è una better regulation, un quadro regolatorio dai confini certi che costituisca un punto di riferimento entro cui agire e soprattutto uno stimolo a compiere scelte sempre più circolari.

Intensa è anche stata l’attività svolta dell’Associazione per contrastare e condannare ogni forma di gestione illecita dei rifiuti, sia per il potenziale impatto sull’ambiente, sia perché gravemente pregiudizievole per gli operatori economici, rispettosi delle regole. Ciò nella ferma convinzione che i comportamenti e le condotte illegali alterano il corretto funzionamento del mercato, oltre a generare potenziali ricadute negative in termini reputazionali per l’intero settore.  In quest’ottica nel 2014 l’Ance si è dotata di un Codice Etico, alle cui prescrizioni si devono attenere tutti gli associati, che pone tra i suoi principi fondamentali la tutela dell’ambiente e la prevenzione di ogni forma di inquinamento, oltre che la condanna di ogni tipologia di reato di natura ambientale.

 

L’Ingegner Petrucco è, quindi, passato ad illustrare alcuni dati riguardanti la produzione e la gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione. Dal raffronto delle quantità di rifiuti da C&D smaltiti nelle diverse macroaree geografiche (Nord, Centro e Sud), emerge che nel 2019 al Sud vi è stato un incremento pari a circa il 52% di rifiuti smaltiti rispetto a quanto registrato nell’anno precedente di riferimento. Se si analizzano i soli rifiuti non pericolosi – che sono poi quelli più interessanti sotto il profilo del recupero – la percentuale sale addirittura al  54%. Questi valori sono ascrivibili fondamentalmente a 2 fattori, da un lato l’incremento nella produzione di rifiuti, che per il Sud è stato pari al 19% e dall’altro alla scarsità degli impianti di recupero previsti in questa area geografica. Come è stato, infatti, evidenziato da Legambiente, nell’ambito dell’ultimo rapporto sulle Cave, in Italia sono ancora molto pochi gli impianti per il recupero e soprattutto sono distribuiti in maniera molto disomogenea sul territorio nazionale.

Dalle stime presentate nell’ambito del citato rapporto, risultano essere attivi i 2.000 ed i 3.000 impianti autorizzati, tra fissi e mobili. Le Regioni con maggiore presenza di impianti di riciclo inerti sono situate nel Centro-Nord: Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Trentino e Toscana.

Di fronte a questo scenario, diventa ancora più urgente mettere in atto le politiche necessarie per favorire il recupero dei rifiuti, dando attuazione a quanto previsto nel Green Deal europeo, declinato a livello italiano nell’ambito del PNRR, ossia la transizione all’economia circolare.

In particolare, sono tre gli ambiti sui quali occorre intervenire in via prioritaria:

-implementare la dotazione impiantistica dedicata al recupero dei rifiuti

Un primo importante passo è sicuramente rappresentato dalla novità introdotta di recente nel decreto cd. semplificazioni (il d.l. 77/2021), nel quale durante l’iter di conversione in legge, sono state inserite delle semplificazioni inerenti i cd. impianti mobili.

L’Ance da tempo auspicava infatti che si introducessero dei meccanismi volti ad agevolare, nel pieno rispetto dell’ambiente, il recupero diretto in cantiere. In questo modo si incentiva il reimpiego di materiali recuperati, si tutelano le materie prime vergini e si riduce l’impronta carbonica dei processi di cantiere. Agevolare il recupero già all’interno del cantiere, là dove possibile, consente di incrementare la percentuale di rifiuti recuperati e ridurne drasticamente il trasporto, con evidenti benefici sotto il profilo ambientale. Sono però necessari interventi ancora più coraggiosi volti a rimuovere quegli ostacoli che di fatto limitano la capacità del nostro paese di recuperare, vanno quindi riviste e soprattutto aggiornate le norme contenute nel Codice dell’ambiente relativamente alle operazioni di recupero. Occorre, in particolare, aggiornare il sistema autorizzatorio, non solo troppo complesso, ma soprattutto legato a norme, prescrizioni, limiti, tecnologie che hanno oltre 20 anni (es. DM 5 febbraio 1998) e che quindi spesso lo rendono inadeguato alle esigenze di oggi. Si potrebbe, inoltre, introdurre una modulistica unificata per le autorizzazioni ambientali, in analogia ad esempio a quanto recentemente previsto per le bonifiche.

 

delineare un sistema regolatorio stabile e certo

In questi anni è emerso chiaramente che regole e procedimenti troppo complessi e mutevoli hanno rappresentato dei veri e propri ostacoli allo sviluppo, all’innovazione e anche a comportamenti più virtuosi.

Appare quindi quanto mai essenziale e strategico rimuovere tutti questi ostacoli, superare le criticità emerse nella prassi e dare effettiva attuazione a strumenti ed istituti fondamentali per l’economia circolare.

Si fa riferimento ad esempio alla questione dell’end of waste, ossia la cessazione della qualifica di rifiuto, uno strumento introdotto oltre 11 anni fa in Italia, ma rimasto per lo più inattuato a causa dell’assenza dei decreti attuativi.  Dal 2010 ad oggi, infatti, sono stati adottati solo 5 decreti, di cui solo 1, quello sul fresato, riguarda il settore delle costruzioni, ossia il settore che – vale la pena ricordarlo – produce il flusso più rilevante di rifiuti speciali.

Abbiamo accumulato un ritardo incredibile che dobbiamo recuperare al più presto, per non farci trovare impreparati nel confronto con gli altri Paesi Europei. È evidente che un simile modo di procedere ostacola in modo inesorabile il passaggio all’economia circolare in Italia e non possiamo  più permettercelo.

Con riferimento al tema dell’end of waste, altro aspetto da sottolineare riguarda le cd. “autorizzazioni caso per caso”. Come è noto infatti qualora i criteri e le condizioni, affinchè un rifiuto cessi di essere tale, non siano stati definiti, nè a livello europeo, né in ambito nazionale, questi stessi criteri possono essere oggetto di singole autorizzazioni rilasciate, appunto “caso per caso”.

In Italia, tale competenza è stata riservata alle Regioni o alle Province a seconda della delega conferita e – appare giusto evidenziarlo – questa loro attività autorizzatoria ha consentito al nostro Paese di competere con gli altri Stati membri, ottenendo anche risultati discreti. Si tratta però evidentemente di una procedura “temporanea”, o almeno cosi doveva essere, tesa a superare l’inerzia normativa dello Stato. Di fatto, invece, si è trasformata nella “regola” e ciò ha determinato una serie di problemi applicativi.

sviluppare una cultura del recupero

Occorre creare le condizioni per favorire ed incentivare l’uso dei materiali recuperati, nella logica di limitare il ricorso a quelli vergini. I rifiuti da costruzione e demolizione possono costituire un’importante leva per rendere l’economia davvero circolare: attraverso il recupero, infatti, si consente di dare a questi materiali nuova vita e al tempo stesso attraverso il loro impiego si riduce fortemente il ricorso alle materie vergini. Occorre in altri termini creare un sistema di regole, procedure e incentivi che spinga a recuperare e soprattutto ad utilizzare ciò che è stato recuperato. Solo in questo modo si potrà effettivamente ridurre il ricorso ai materiali vergini.

In questo senso, appare fondamentale non solo la definizione dei cd. Criteri Ambientali Minimi, attraverso cui fissare specifici target di riutilizzo, ma anche assicurare una loro effettiva applicazione. Molto importante diventa allora l’attività di sensibilizzazione e formazione delle stazioni appaltanti sulle qualità, le caratteristiche e i possibili utilizzi dei materiali recuperati.

Audizione Ance