Rating di legalità come criterio OEPV: illegittimo senza meccanismi compensativi per piccole imprese

Con sentenza del 10 ottobre u.s., la sezione V del Consiglio di Stato ha annullato una procedura ristretta per l’affidamento di una concessione di multiservizi, in quanto era stata prevista l’attribuzione di punti in virtù del rating di legalità, senza la contestuale previsione di meccanismi compensativi per le piccole imprese, in violazione dell’interpretazione fornita dall’ANAC sull’art. 95 comma 13, codice degli appalti.
 
Per effetto, è stata riformata la sentenza di primo grado con cui il TAR Puglia aveva ritenuto in parte infondato ed in parte improcedibile, per carenza d’interesse, il ricorso della società appellante.
 
In particolare, la procedura oggetto della controversia prevedeva, tra l’altro, l’attribuzione fino ad un massimo di sei punti per il concorrente in possesso del rating di legalità.
Nella differenza tra il punteggio finale della prima classificata e quello della seconda (a seguito del riconoscimento a quest’ultima di ulteriori punti, nel giudizio di primo grado, per delle certificazioni non opportunamente valutate dalla stazione appaltante), assumevano un ruolo determinante proprio i punti assegnati alla prima in base al rating di legalità.
 
Pertanto, l’impresa qualificatasi seconda impugnava la lex specialis, poiché, a fronte dell’attribuzione di punteggio per il possesso del rating, non erano stati previsti adeguati strumenti di compensazione per quelle imprese partecipanti sprovviste dei requisiti ex art. 5-ter del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 per l’accesso al suddetto rating.
Ciò in quanto, per acquisire quest’ultimo, le imprese devono essere iscritte nel registro delle imprese da almeno due anni ed avere un fatturato minimo pari ad almeno due milioni di euro.
 
Tanto premesso, il Collegio ha sottolineato anzitutto che l’art. 95, comma 13 del codice appalti prevede la necessità di contemplare contestualmente criteri per agevolare la partecipazione alle procedure delle microimprese, delle piccole e medie imprese, nonché dei giovani professionisti e delle imprese di nuova costituzione, anche laddove sprovvisti dei titoli normativi per accedere al rating.
 
A tal proposito, peraltro, le Linee Guida ANAC n. 2 hanno specificato che “a meno che la stazione appaltante non sappia già, nella predisposizione del bando di gara o della lettera di invito, che alla procedura potranno partecipare solo imprese potenzialmente idonee ad avere il rating, è opportuno che, per il suo utilizzo, vangano introdotte compensazioni per evitare di penalizzare imprese estere e/o di nuova costituzione e/o carenti del previsto fatturato, consentendo a tali imprese di comprovare altrimenti la sussistenza delle condizioni o l’impiego delle misure previste per l’attribuzione del rating.
 
Pertanto, i giudici di Palazzo Spada hanno dichiarato l’illegittimità della procedura in oggetto, a causa della mancata previsione di strumenti premiali, a favore delle piccole imprese, compensativi rispetto al punteggio assegnato per il possesso del rating, posto che la gara era stata aperta anche ad imprese prive dei requisiti previsti dall’art. 5-ter del d.l. n. 1/2012.
 
La statuizione appare in linea con quanto sinora affermato da ANCE, che ha più volte evidenziato la criticità connessa all’attribuzione di punteggio all’impresa in possesso di rating di legalità. E ciò sia perché, come già accennato, il rating di legalità non può essere assegnato ad imprese con meno di € 2.000.000 di fatturato; sia perché, anche a fronte di meccanismi di compensazione per le piccole imprese, non elimina il vizio derivante dalla considerazione nell’offerta di profili che nulla hanno a che vedere con la qualità esecutiva dei lavori.
 
Del resto, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha, in più occasioni, operato una netta separazione tra la fase di selezione dell’offerente, da effettuarsi tramite criteri di idoneità o requisiti di partecipazione, e la fase di selezione della migliore offerta, da individuare tramite i criteri di aggiudicazione (cfr. Corte di Giustizia, 24 gennaio 2008, C.532/06; 19 giugno 2003, C-315/01).