Piani paesaggistici: la Consulta ribadisce la prevalenza sugli altri piani

Con la sentenza n. 210 del 16 settembre 2016 la Corte Costituzionale ha ribadito il principio già espresso in altre pronunce, secondo cui alle Regioni non è consentito apportare deroghe “peggiorative” – vale a dire meno rigide – alla normativa statale in materia di ambiente, potendo quindi esse solo incrementare i livelli di tutela ambientale.

Applicando questo principio, la Consulta ha dichiarato illegittime per contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione (competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali) alcune norme della Legge regionale della Liguria 6/2015. Tali disposizioni regionali, modificando precedenti leggi in materia di attività estrattive, avevano in particolare:

  • sostituito il previgente obbligo di coerenza del Piano regionale delle attività estrattive al Piano territoriale di coordinamento paesistico con un vincolo di mero raccordo tra i due atti. La nuova norma comporta quindi una significativa alterazione del principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico sancito dall’art. 145 del D.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio);
  • soppresso la necessità che, nella fase di adozione, il progetto di piano regionale delle attività estrattive dovesse essere corredato dal rapporto ambientale, come imposto invece dal D.lgs. 152/2006 “Codice dell’ambiente” in tema di VAS. Per la Consulta non basta che tale rapporto sia presente nella fase di approvazione del piano;
  • introdotto la previsione di “margini di flessibilità” della autorizzazione paesaggistica per l’esecuzione e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva. L’espressione “margini di flessibilità”– ha evidenziato la Consulta – non è contemplata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio né da altre norme statali in materia;
  • consentito di effettuare, negli impianti a servizio dell’attività di cava, il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, sia estratti da altre cave, che derivanti da demolizioni, restauri o sbancamenti previa semplice presentazione al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) di una SCIA. La normativa statale – ha sottolineato la Corte – sottopone il riempimento delle cave mediante rifiuti da estrazione alla procedura semplificata degli artt. 214 e 216 del D.lgs. 152/2006 e del DM 5 febbraio 1998, mentre, in presenza di rifiuti diversi da quelli di estrazione, la disciplina applicabile è quella dell’art. 208 del  D.lgs. 152/2006. La regolamentazione spetta allo Stato in via esclusiva e quindi la normativa regionale in materia deve richiamare le procedure previste dalla disciplina nazionale;
  • escluso la partecipazione degli organi del Ministero dei beni culturali dalla procedura di modifica del Piano regionale delle attività estrattive, violando l’art. 145, comma 5 del D.lgs. 42/2004 che invece la impone;
  • consentito alla Regione di rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto ampliamenti fino al 25% della superficie dell’aerale di cava e/o la modifica della tipologia normativa sulla base della presunzione che tali incrementi non comportassero mai variazioni del PTCP. La prevista irrilevanza dell’incremento del 25% non può essere stabilita da un norma regionale ma deve costituire oggetto di specifico accordo tra Regione e Ministro dei beni culturali in base agli artt. 135, 143 e 156 del D.lgs. 42/2004 che sanciscono il principio inderogabile della pianificazione paesaggistica congiunta.

In allegato la sentenza della Corte Costituzionale 210/2016

Piani paesaggistici – la Consulta ribadisce la prevalenza sugli altri piani – Allegato