I ritardati pagamenti dei Lavori Pubblici e la procedura di infrazione UE all’Italia.
Il permanere di una diffusa situazione di difficoltà nei pagamenti della Pubblica Amministrazione alle imprese di costruzioni rappresenta un fattore di rischio nella strategia di rilancio delle politiche infrastrutturali, avviata dal Governo e recentemente rafforzata con la Legge di stabilità per il 2016. Secondo l’ultima indagine Ance, infatti, nel secondo semestre 2015, il 78% delle imprese registra ancora ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione. Nella seconda parte dell’anno, è proseguita la tendenza ad un lento miglioramento dei tempi di pagamento in atto da più di due anni. Ma nonostante questi miglioramenti, i tempi medi di pagamento continuano a superare i limiti fissati dalla direttiva europea sui ritardi di pagamento (2011/07/UE). La direttiva europea rimane infatti in larga misura disattesa nel settore dei lavori pubblici in Italia. Secondo l’Ance, in media, le imprese che realizzano lavori pubblici continuano ad essere pagate dopo 166 giorni (5 mesi e mezzo dopo l’emissione degli Stati di Avanzamento Lavori) contro i 60 giorni previsti dalla normativa comunitaria. Il volume dei ritardi, inoltre, rimane consistente: l’Ance stima in circa 8 miliardi di euro l’importo dei ritardi di pagamento alle imprese che realizzano lavori pubblici. Dall’analisi dell’Ance, che svolge tuttora il ruolo di Rapporteur alla Commissione europea, emerge, ancora una volta, che il problema dei ritardi di pagamento della Pubblica Amministrazione rimane un problema irrisolto nel settore delle costruzioni e, più in generale, in Italia. I ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione, continuano ad incidere negativamente sul funzionamento dell’economia e determinano effetti negativi sull’occupazione e sugli investimenti nel settore delle costruzioni. Secondo l’indagine realizzata dall’Ance presso le imprese associate, infatti, il 54% delle imprese che hanno subito ritardi hanno allungato i tempi di pagamento ai propri fornitori, il 43% delle imprese ha ridotto i propri investimenti e un quarto ha ridotto il numero dei dipendenti. A causa dei ritardi, le imprese sopportano inoltre costi elevati legati all’utilizzo degli strumenti finanziari utilizzati per sopperire alla mancanza di liquidità, e vedono di conseguenza diminuire i loro margini e aumentare la loro situazione di debolezza finanziaria. In una recente pubblicazione, la Banca d’Italia ha confermato tale analisi sottolineando, anche sulla base di proprie indagini, che il fenomeno dei ritardati pagamenti della P.A. risulta tuttora molto diffuso nelle costruzioni (9 miliardi di euro di ritardati pagamenti per le spese in conto capitale) e che, per quanto riguarda il settore, coinvolge con maggiore intensità le piccole e medie imprese del territorio, rispetto a quanto avviene in altri settori. Da ultimo, nel suo recente rapporto di valutazione della direttiva europea, la Commissione europea conferma con chiarezza il permanere di difficoltà in Italia, con particolare riferimento al settore delle costruzioni, e le conseguenze negative che questa situazione determina sul funzionamento dell’economia. Il rapporto della Commissione europea sottolinea inoltre quanto la diffusione del fenomeno dei ritardi di pagamento sia favorita, in Italia come in altri Paesi europei, dalla “cultura dei ritardi di pagamento”. Il mancato rispetto della normativa europea, infatti, non riguarda soltanto i tempi di pagamento ma anche le numerose prassi gravemente inique messe in atto dalle Pubbliche Amministrazioni nei confronti delle imprese (richiesta di accettare tempi di pagamento superiori a quelli previsti dalla normativa, di ritardare l’emissione dei S.A.L. o delle fatture, mancato pagamento degli interessi sui ritardi).
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Sul tema l’Ance è in stretto contatto con i servizi della Commissione Europea, che, nell’ambito della Procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata attuazione della Direttiva Comunitaria dei ritardati pagamenti, dovrebbe decidere se compiere un ulteriore passo (parere motivato) nell’ambito della procedura aperta contro l’Italia. Ciò potrebbe successivamente portare la Commissione stessa a denunciare lo Stato Italiano alla Corte di Giustizia per la non corretta attuazione della Direttiva 2011/7/UE