Deroghe agli standard urbanistici: illegittima la norma delle Marche
L’art. 2-bis del Dpr 380/2001 (Tu edilizia) – inserito dalla Legge 98/2013 di conversione del DL 69/2013 (cd. “decreto del fare”) e rubricato “Deroghe in materia di limiti di distanza tra i fabbricati” – prevede la possibilità per le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano di dettare disposizioni derogatorie al DM 1444/1968 “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali ad un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali” e “fermo restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative”.
Diverse Regioni hanno dato attuazione all’art. 2-bis (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Toscana, Umbria, Veneto), emanando norme che consentono talvolta la deroga alle sole distanze e talvolta la deroga a tutti gli standard edilizi, così come talvolta la deroga riguarda solo interventi di riqualificazione urbana ricompresi in piani attuativi, altre volte invece anche interventi di demolizione e ricostruzione puntuali ossia su singoli edifici in diretta attuazione del piano urbanistico generale.
Si tratta di norme importanti per la diffusione degli interventi di sostituzione edilizia che però in alcuni casi (Marche, Veneto, Umbria) sono state impugnate dal Governo davanti alla Corte Costituzionale principalmente a causa della previsione delle deroghe non solo per interventi ricompresi in piani attuativi, ma anche per interventi puntuali di sostituzione edilizia (vedi news 10 luglio 2015 Governo del territorio, lo Stato rinvia alla Consulta numerose leggi regionali).
La Consulta con la sentenza 178 del 15 luglio 2016 si è pronunciata di recente sul ricorso del Governo nei confronti dell’art. 10 della LR Marche 16/2015 (sostitutivo dell’art. 35 della LR 33/2014 che ha dato attuazione a livello regionale all’art. 2-bis TUE), dichiarandone l’illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 117, comma 2, lett. L (competenza statale esclusiva sul ordinamento civile) e 117, terzo comma (competenza concorrente Stato-Regioni sul governo del territorio) ed in particolare con le norme statali in queste materie vale a dire il DM 1444/1968 e l’art. 2-bis TUE.
La Corte, richiamando la sentenza n. 134/2014 (vedi news 23 maggio 2014 Distanze: la Corte Costituzionale chiarisce i limiti delle Regioni), ha rilevato che il “punto di equilibrio” tra la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (e quindi di proprietà privata) e la competenza concorrente Stato/Regioni nel governo del territorio si rinviene nel principio stabilito dall’art. 9 del DM 1444/1968 per cui sono ammesse distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale solo “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
Ne consegue che la legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è legittima solo in quanto persegua chiaramente finalità di carattere urbanistico, circoscrivendo l’operatività delle sue norme a “strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”.
Alla luce di questi principi la Corte ha ritenuto che la riforma dell’art. 35 della LR 33/2014 operata dall’art. 10 della LR 16/2015 sia idonea ad estendere la competenza in deroga della Regione anche ad interventi puntuali o comunque non attinenti a complessivi strumenti urbanistici.
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale 178/2016