Aggiudicazione, revoca in autotutela
La pubblica amministrazione non può revocare in autotutela l’aggiudicazione definitiva in vista del formarsi di un contenzioso giurisdizionale, perché ciò porterebbe ad una chiara violazione dell’articolo 24 della Costituzione e ad una continua elusione di qualsiasi forma di tutela giurisdizionale (Consiglio di Stato n.2095/2016).
La sentenza
Il Consiglio di Stato ha ritenuto priva di pregio la tesi del Tribunale amministrativo partenopeo (« la presentazione di un ricorso giurisdizionale […] non toglie che l’instaurazione di un giudizio amministrativo possa comportare l’insorgere di una specifica causa di interesse pubblico […] che renda opportuna e legittima la revoca degli atti di gara». Tesi che – argomenta Palazzo Spada – contrasta con l’articolo 24 della Costituzione («tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi») e che non tiene conto del carattere acceleratorio della disciplina sulla quale si incentra il rito abbreviato degli appalti di cui all’ articolo 119 del codice del processo amministrativo. Disciplina che il nuovo codice dei contratti pubblici ha ulteriormente semplificato con il giudizio in camera di consiglio (articolo 204) e con l’individuazione di rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale (articoli 207- 211) quali l’accordo bonario, il collegio consultivo tecnico, la transazione, l’arbitrato, la camera arbitrale e i pareri di precontenzioso dell’Anac.
La giurisprudenza amministrativa opera un distinguo fra la «revoca dell’aggiudicazione provvisoria» e la «revoca dell’aggiudicazione definitiva», sicché la prima si sostanzia in un atto endoprocedimentale che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario, «con la conseguenza che la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, inidoneo a ingenerare qualunque affidamento tutelabile ed obbligo risarcitorio» (ex multis sentenza n. 942/2014). Ragione per la quale tale revoca non è qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela che richiede un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato (sentenza n. 2338/2013). Raffronto che l’amministrazione deve operare ogni qual volta adotti un provvedimento di revoca definitivo senza comprimere oltre la giusta misura l’affidamento del privato.
Il che – evidenzia la sentenza in narrativa- non risulta nella revoca in questione, che appare anche incomprensibile dal momento che il Comune ha dapprima voluto esternalizzare il servizio oggetto della procedura di gara, salvo poi “rinvenire” nella propria pianta organica personale idoneo per procedere alla sua internalizzazione.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato registra un orientamento consolidato, in base al quale la revoca dell’aggiudicazione definitiva è legittima in presenza di presupposti oggettivi quali una consistente riduzione dei trasferimenti finanziari (sentenza n. 4026/2013), la mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera ovvero la valutazione da un nuovo esame dei bisogni da soddisfare ( sentenza n.4809/2013) ovvero quando i criteri di selezione degli aggiudicatari risultino suscettibili di produrre effetti indesiderati o illogici (sentenza n. 3125/2013).