Concordato in continuità aziendale ed ATI: il Cds solleva questione di legittimità costituzionale
Con l’ordinanza n. 3938, del 12 giugno 2019, la Sezione V del Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 186 bis, 6° comma, della Legge fallimentare (RD n. 267/1942), sul presupposto che vietare espressamente alle imprese in concordato con continuità aziendale di partecipare a gare d’appalto rivestendo il ruolo di mandataria all’interno di un’ATI sia lesivo di una serie di principi di rango costituzionale.
In particolare, i dubbi del Supremo Consesso si sono concentrati sui principi di ragionevolezza e parità di trattamento (art. 3), di libertà di iniziativa economica privata (art. 41) e di buon andamento dall’azione amministrativa (art. 97).
1. Il concordato con continuità aziendale e la partecipazione alle gare: la disciplina normativa
Oggetto delle osservazioni mosse dal Consiglio di Stato è stato il “concordato con continuità aziendale”, istituto oggi disciplinato dall’art. 186 bis LF (ad hoc aggiunto ad opera del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134), e specificamente diretto al superamento dello stato di crisi finanziaria ed alla fruttuosa prosecuzione dell’attività d’impresa.
Si tratta di una particolare forma di concordato preventivo, caratterizzata dalla presentazione di un piano che preveda “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione” (art. 186 bis, comma 1), oltre ad essere circondata da serie di cautele, tese a garantire che la continuità sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, e che sia sostenibile sul piano economico-finanziario.
In particolare, è richiesto che all’atto di ricorso per l’accesso alla procedura vengano allegati:
· un “piano di rientro” dall’esposizione debitoria, contenente l’indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, nonché delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;
· l’attestazione espressa (ad opera di un professionista ad hoc nominato dall’imprenditore) che la prosecuzione dell’attività rappresenta una soluzione funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
La disposizione si occupa, nel particolare, dell’impatto di tale procedura sulle gare d’appalto, sancendo espressamente, dapprima, che l’ammissione al concordato con continuità non impedisce la continuazione di contratti pubblici già in essere, qualora il professionista designato dal debitore abbia attestato la conformità della prestazione contrattuale al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto (comma 3).
Anche per quel che concerne la partecipazione a nuovi affidamenti, l’art. 186 bis LF non pone divieti assoluti, consentendo alle imprese in concordato con continuità di prendervi parte, pur premettendo particolari cautele:
* se l’impresa ha depositato il ricorso per l’accesso alla procedura (ma non ha ancora ottenuto il decreto di ammissione), la partecipazione deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (in mancanza di tale nomina, provvede il tribunale);
* nel caso, invece, in cui sia già stata disposta l’ammissione al concordato, occorre:
– la relazione di un professionista attestante la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;
– la dichiarazione di altro operatore che si impegni a mettere a disposizione le risorse necessaria all’esecuzione dell’appalto per il caso di fallimento o di incapacità sopravvenuta all’esecuzione (art. 186 bis LF, comma 5).
Inoltre, in tale caso, il nuovo art. 110, comma 3, del Codice dei contratti pubblici (come innovato dal DL “Sblocca cantieri”) richiede anche l’autorizzazione del giudice delegato.
L’art. 186 bis LF dedica, poi, una specifica disposizione, il comma 6°, alla partecipazione degli operatori in concordato con continuità tramite adesione ad ATI.
In tal caso, la regola posta è che la partecipazione è consentita ma a due condizioni:
a) che, nel caso in cui l’impresa in concordato con continuità rivesta il ruolo di mandante, le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad altra procedura concorsuale;
b) che, nel raggruppamento temporaneo, tale impresa non rivesta il ruolo di mandataria.
Proprio quest’ultima limitazione, in particolare, ha costituito l’oggetto specifico dell’ordinanza in esame.
2. I limiti alla partecipazione in ATI e i dubbi di costituzionalità: l’ordinanza del Consiglio di Stato
L’ordinanza in commento è stata pronunciata nell’ambito del giudizio di impugnazione di una sentenza del TAR Toscana (Sezione II, n. 491/2019), la quale (tra le altre statuizioni) ravvisava l’esistenza di un contrasto tra l’art. 80, comma 5, lett. b), del Codice dei contratti pubblici e l’art. 186 bis, comma 6, della Legge fallimentare – che il Giudice di prime cure aveva risolto facendo applicazione del criterio cronologico: la disposizione fallimentare era stata implicitamente abrogata per opera del sopravvenuto art. 80, comma 5, lett. b), del Codice dei contratti pubblici. Quest’ultimo, infatti, nel disciplinare integralmente la materia delle cause di esclusione in senso innovativo, non avrebbe fatto più alcun riferimento alla posizione che assuma l’impresa in concordato preventivo con continuità che partecipi alla procedura nella forma del raggruppamento temporaneo di impresa –.
Come anticipato, il Supremo Consesso – dopo aver sconfessato il TAR toscano, ritenendo non implicitamente abrogato l’art. 186 bis, comma 6, LF, valutandolo, al contrario, ancora perfettamente vigente – ha concentrato le proprie criticità proprio su quest’ultima norma, nella misura in cui vieta alle imprese in concordato con continuità di partecipare a gare d’appalto in qualità di mandatarie di ATI.
La disposizione, infatti, stabilisce che una simile impresa “può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale”.
Ebbene, nel valutare la fondatezza della questione di legittimità costituzionale come prospettata, i massimi Giudici amministrativi hanno analizzato diversi parametri costituzionali.
Innanzitutto, viene in rilievo l’art. 3 della Carta, dovendosi dubitare, a parere del Collegio, “della ragionevolezza della scelta del legislatore”, atteso che, come osservato, se l’impresa in concordato non può partecipare alle gare in ATI come mandataria, potrebbe (nel rispetto degli obblighi fissati dalla disposizione, più sopra descritti), invece, liberamente partecipare come singola concorrente.
In considerazione di tale rilievo, quindi, il Consiglio di Stato ha effettuato una dettagliata ricerca vòlta ad individuare se sussistano, tra le due ipotesi (partecipazione a gara dell’impresa singola o come mandataria di ATI), delle differenze concrete che possano giustificare una simile differenziazione di disciplina.
Nello svolgimento di tale indagine, i Giudici amministrativi hanno considerato diversi indici:
1) Ratio dell’art. 186 bis LF
La partecipazione a gare d’appalto anche per le imprese in concordato con continuità si giustifica in quanto “Per talune imprese l’affidamento di commesse pubbliche è fonte primaria di ricavi da (re)investire nell’attività imprenditoriale per superare lo stato di crisi”.
Sul punto, allora, a parere del Consiglio di Stato “non v’è ragione che giustifichi la differente disciplina per l’impresa che partecipi nella forma aggregata del raggruppamento temporaneo di impresa assumendo il ruolo di mandataria”; infatti, “anche per questa impresa i ricavi derivanti dall’esecuzione della parte di commessa pubblica possono consentire il superamento di una situazione di crisi”.
Ne risulta, quindi, che le imprese in concordato con continuità partecipano a gare d’appalto essenzialmente per lo stesso scopo: garantirsi proventi utili da reimpiegare nel superamento dello stato di crisi, e poter, così, proseguire nell’attività produttiva.
Pertanto, sotto questo aspetto la posizione degli operatori in concordato che scelgano di concorrere singolarmente piuttosto che come mandatari in ATI è identica, e non sono, dunque, consentite differenziazioni di trattamento.
2) Prerogative dell’impresa in fase di gara
Il mandatario è munito di mandato collettivo con rappresentanza conferito dalle altre imprese aggregate, potendo esprimere l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti (art. 45, comma 2 lett. d, del Codice dei contratti pubblici), oltre ad avere la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della Stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto.
Da ciò consegue che il mandatario contratta con la Stazione appaltante esattamente come un concorrente singolo, “con la sola differenza che gli effetti dei suoi atti si riverberano nella sfera giuridica dei mandanti”.
Anche sotto tale aspetto, quindi, la posizione di mandatarie e singole concorrenti è sovrapponibile, e non suscettibile di differenziazioni di disciplina.
3) Responsabilità nei confronti della Stazione appaltante
Anche sotto tale profilo il Consiglio di Stato ha registrato un’identità tra le due posizioni. Difatti, alla responsabilità individuale del concorrente singolo corrisponde, nel caso di raggruppamento, la responsabilità solidale degli operatori aggregati, che coinvolge tanto la mandataria, quanto ogni singola mandante. Infatti, l’attivazione del regime della solidarietà comporta che la Stazione appaltante potrà richiedere al mandatario (così come a ciascuno dei mandanti) l’intera prestazione oggetto del contratto (art. 1292 cc), come pure il risarcimento dell’intero danno in caso di inadempimento.
Inoltre, i Giudici amministrativi hanno rilevato, altresì, il difetto di ragionevolezza c.d. interna (ossia, quella relativa alle diverse fattispecie contemplate all’interno della medesima disposizione). Infatti, se l’impresa in concordato con continuità riveste il ruolo di mandante – e non di mandataria – (e sempre che non vi siano altre imprese aderenti assoggettate a procedura concorsuale), può prendere parte alle procedure di gara.
Sennonché, come rilevato, “le mandanti sono sottoposte, come la mandataria, alla responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, e sono personalmente responsabili ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali”.
Altro parametro considerato è l’art. 41 Cost., atteso che l’attuale formulazione dell’art. 186 bis, 6° comma, LF, confliggerebbe anche con la libertà di iniziativa economica privata ivi contemplata, che ne risulterebbe ingiustificatamente compressa ed in contrasto con il dettato costituzionale.
Il divieto previsto dalla norma fallimentare, infatti, appare limitativo della libera capacità contrattuale dell’imprenditore.
Sul punto, in particolare, il Consiglio di Stato ha osservato che un simile divieto contrasta con la stessa ratio ad esso sottesa, ossia quella di “tutelare i creditori da scelte non ponderate dell’impresa in grado di aggravare lo stato di crisi esistente”, rispondendo all’utilità sociale di “evitare la completa dispersione del patrimonio dell’imprenditore con conseguente impossibilità di soddisfazione dei creditori”. Infatti, dal momento che l’impresa in stato di concordato con continuità aziendale “è impresa che, pur in stato di crisi, è in grado di continuare ad operare sul mercato”, risponderebbe all’utilità sociale “non già limitarne la sua libertà contrattuale, ma anzi favorirne il massimo dispiegarsi, per l’acquisizione di clientela di sicura solvibilità, come è il soggetto pubblico, e, così giovarsi di denaro da reimpiegare nell’attività di impresa”.
Infine, l’ultimo filtro è rappresentato dall’art. 97 Cost., e dal principio di buon andamento dell’azione amministrativa in esso scolpito.
Sul punto, l’ordinanza in commento ha rilevato che il divieto posto dalla Legge fallimentare determina, in capo alla Stazione appaltante, un’ingiustificata limitazione del potere di scelta del miglior contraente, sotteso alla disciplina dell’evidenza pubblica, con il risultato che all’Amministrazione viene preclusa la possibilità di “contrattare con un’impresa che potrebbe rivelarsi la più qualificata e capace ad eseguire la commessa (…) posta a gara”.
Inoltre, viene impedito che sia lo stesso soggetto pubblico ad esprimere, caso per caso ed in concreto, un giudizio di compatibilità della partecipazione dell’impresa in concordato rispetto alla sua situazione economico-patrimoniale e di convenienza per i creditori – e che, in tal caso, viene, invece, effettuato dal legislatore, in astratto –.
3. Conclusioni
Il Consiglio di Stato, dunque, conclude dichiarando “rilevante e non manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 186 bis, comma 6°, della Legge fallimentare, laddove non consente alle imprese in stato di concordato con continuità aziendale di partecipare a nuovi affidamenti in qualità di mandataria di ATI, ed ha richiesto, per l’effetto, alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla compatibilità costituzionale della norma, nei termini sopra considerati.
4. Considerazioni finali
In relazione al complesso delle osservazioni formulate dal Consiglio di Stato, va osservato che, qualora dovessero essere condivise ed accolte dalla Corte costituzionale, si avrebbe l’effetto di estendere ulteriormente le capacità di partecipazione dei soggetti “in crisi”.
Tuttavia, ad avviso dell’ANCE, la partecipazione alle gare di soggetti in tale stato può rivelarsi fortemente rischioso, in quanto penalizza le imprese sane. Queste ultime, infatti, non possono disporre di forme di protezione dai creditori analoghe a quelle che accompagnano le procedure liquidatorie.
Sarebbe quindi opportuno prevedere – in luogo della partecipazione tout court alle gare per le imprese fallite o in concordato in continuità – specifici ed idonei meccanismi, che siano in grado di garantire la massima concorrenzialità e ridurre, altresì, i rischi “da contagio”. Tra questi, ad esempio, la presentazione, ai fini dell’ammissione alla continuità, di un piano di rientro che preveda la soddisfazione di ciascun credito chirografario nella misura minima del 50%, nonché l’ottemperanza al divieto di cessione del ramo d’azienda relativo al contratto d’appalto, la cui presenza altera una sana concorrenza nel mercato.