Cessione di terreni e regime fiscale – Ordinanza Cass. n. 20817/2017

Per individuare la corretta “destinazione” di un’area e il relativo regime fiscale ad essa applicabile, occorre avere riguardo al piano regolatore adottato dal Comune, indipendentemente dalla sua approvazione o dall’adozione di eventuali strumenti attuativi.

Questo il principio giurisprudenziale contenuto nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 20817/2017, in materia di imposte d’atto relative alla cessione di un terreno.

La questione prende le mosse da un avviso di liquidazione, con il quale l’Agenzia delle Entrate pretendeva da un contribuente maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali per la compravendita di un’area che, sulla base del piano regolatore, era stata destinata a cava.

L’Ufficio, infatti, sosteneva che tale area, ai fini della cessione e delle relative imposte d’atto, doveva essere valutata al valore venale corrente poiché, alla luce del piano regolatore Comunale, il terreno risultava adibito a cava.

Il ricorrente, invece, sosteneva che fosse corretto calcolare le imposte d’atto sulla base della rendita catastale in quanto l’area era da considerarsi ancora a destinazione agricola, poichè mancavano le autorizzazioni e gli strumenti urbanistici necessari per autorizzare l’attività di estrazione.

In merito, con l’Ordinanza n. 20817, è intervenuta la Corte di Cassazione, secondo cui “la qualificazione di un’area va desunta dal piano regolatore adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi”.

A tal riguardo, si legge nella sentenza, l’avvio del procedimento di trasformazione urbanistica basta a far crescere il valore venale del bene, non rilevando le questioni legate all’edificabilità che potrebbero verificarsi successivamente alla cessione.

In sostanza, ai fini della compravendita, la valutazione del bene va fatta al momento del suo trasferimento, sulla base del piano regolatore adottato dal Comune, a prescindere dalle eventuali vicende relative all’effettiva edificabilità dell’area stessa.

In merito, si ricorda che tale principio, valevole per tutti i tributi, si desume dalla definizione normativa di “area edificabile”, contenuta nell’art. 36 del Dl n. 223/2006, che rinvia sempre alla qualificazione attribuita dal Piano regola generale, a prescindere dagli strumenti urbanistici attuativi dello stesso[1].

 

[1] Art. 36 del D.L. n. 223/2006

(omissis)

  1. Ai fini dell’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo.