Bonus “prima casa”: i chiarimenti sull’agevolazione fiscale

Esclusa l’agevolazione sull’acquisto della prima casa per i fabbricati “collabenti” che non possono essere equiparati agli immobili in corso di costruzione. Via libera, invece, all’agevolazione per l’acquisto della pertinenza dell’unità immobiliare per la quale, in precedenza, si è fruito del regime di favore.
 
Con le Risposte n. 357 e 362 del 30 agosto 2019 l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti sulla possibilità di accedere al bonus “prima casa”, nell’ipotesi di:
  • acquisto e ristrutturazione di un fabbricato “collabente” (categoria F/2);
  • acquisto di un locale (C/2) da adibire a pertinenza di un appartamento (categoria A/1) acquistato con l’agevolazione quando la classificazione catastale non ne precludeva l’accesso.
Come noto le condizioni di accesso ai benefici “prima casa”(IVA al 4% o registro al 2%) sono disciplinate dall’art. 1, nota II-bis della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/86[1] e riguardano:
  • la natura dell’immobile (categoria catastale diversa da A/1, A/8 e A/9);
  • l’ubicazione dell’abitazione, che deve trovarsi nel Comune in cui l’acquirente ha la propria residenza o la trasferisca entro 18 mesi dall’acquisto;
  • la non titolarità esclusiva di altra abitazione nel Comune in cui si trova l’immobile da acquistare;
  • la non titolarità, nemmeno per quote, di altra abitazione situata nel territorio dello Stato acquisita con i benefici “prima casa”.
 
Risposta n.357 – Con tale chiarimento l’Agenzia risponde, in senso negativo, al contribuente che intende acquistare, con l’agevolazione “prima casa” un immobile “collabente” (F/2), per ristrutturarlo entro 18 mesi dall’acquisto e adibirlo ad abitazione principale.
 
L’istante richiama la CM n.38/E/2005 con la quale veniva ammessa la possibilità di fruire del bonus fiscale anche per l’acquisto di immobili in corso di costruzione, equiparando a quest’ultimo l’acquisto del fabbricato collabente da ristrutturare.
 
L’Amministrazione finanziaria, però, con la risposta incommento, esclude tale equiparazione.
 
A tal riguardo viene ricordato, richiamando consolidata giurisprudenza[2], che le unità immobiliari agevolate devono essere concepite per soddisfare esigenze abitative[3] sulla base di criteri oggettivi. L’agevolazione, infatti, è riconosciuta agli immobili in corso di costruzione (F/3) che sono destinati ad abitazione, in quanto strutturalmente concepiti per l’uso abitativo.
 
Di contro, gli immobili collabenti sono quei fabbricati totalmente o parzialmente inagibili, incapaci di produrre reddito autonomamente, la cui classificazione F/2 unità collabenti è durevole, al contrario delle classificazioni, F/3 unità in corso di costruzione e F/4 unità in corso di definizione, che sono, invece, provvisorie.
 
Viene richiamata sul punto, la RM 86/E/2010 con la quale, tra l’altro, veniva precisato che, per fruire dell’agevolazione, i requisiti oggettivi e soggettivi indicati nella nota II-bis all’art. 1 della Tariffaparte prima, allegata al D.P.R. 131/86, devono sussistere congiuntamente.
 
Ratio della norma agevolativa è l’intenzione di “agevolare non progetti futuri ma l’attuale e concreta utilizzazione dell’immobile acquistato come propria abitazione”.
 
Risposta n.362 – Con tale chiarimento l’Agenzia ammette la fruizione dell’agevolazione “prima casa”, anche per l’acquisto di un magazzino (C/2) da destinare a pertinenza dell’appartamento (A/1) acquisito nel 2010 usufruendo del medesimo beneficio che, all’epoca, non era connesso alle categorie catastali.
 
A tal riguardo, si ricorda che il punto 3 della nota II-bis, sopra citata, stabilisce che il bonus “prima casa”, ove sussistono le condizioni di legge spetta  per l’acquisto, anche se con atto separato, delle pertinenze (categorie catastali C/2, C/6 e C/7) dell’immobile adibito a prima casa.
 
Ai fini di tale riconoscimento, precisa l’Amministrazione finanziaria, è necessario che l’immobile acquistato sia destinato a pertinenza dell’immobile principale e che quest’ultimo sia stato acquistato fruendo dell’agevolazione per la prima casa[4].

Risposta dell’AdE n.357 del 30 agosto 2019

Risposta dell’AdE n.362 del 30 agosto 2019


[1] Cfr. Nota II-bis, all’art.1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 (estratto).
“1. Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni:
a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo ovvero di cui all’art. 1 della L. 22 aprile 1982, n. 168, all’art. 2 del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla L. 5 aprile 1985, n. 118, all’art. 3, comma 2, della L. 31 dicembre 1991, n. 415, all’art. 5, commi 2 e 3, dei decreti-legge 21 gennaio 1992, n. 14, 20 marzo 1992, n. 237, e 20 maggio 1992, n. 293, all’art. 2, commi 2 e 3, del D.L. 24 luglio 1992, n. 348, all’art. 1, commi 2 e 3, del D.L. 24 settembre 1992, n. 388, all’art. 1, commi 2 e 3, del D.L. 24 novembre 1992, n. 455, all’art. 1, comma 2, del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75 e all’art. 16 del D.L. 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 243. (…)”.
[2] Corte di Cassazione, sentenze: 18300/2004; 9149/2000; 9150/2000; 5297/2001; 8163;2002; 3604/2003.
[3] Cfr. RM n.107/E/2017.
[4] Cfr. CM n.32/E/2010.