Appalti: via al nuovo decreto parametri ma resta facoltativo per le pubbliche amministrazioni

Il provvedimento del ministero della Giustizia, di concerto con le Infrastrutture, prossimo alla pubblicazione in Gazzetta.

Il nuovo decreto del ministero della Giustizia, di concerto con le Infrastrutture, sui parametri di riferimento per le gare di progettazione si avvicina, a sorpresa, alla Gazzetta ufficiale. La notizia è stata annunciata venerdì, scatenando le proteste dei mille delegati presenti, nel corso della giornata conclusiva del Congresso nazionale degli ingegneri, iniziato mercoledì a Palermo: via Arenula, per non accumulare ritardo rispetto alla tabella di marcia del Codice appalti (che fissa il termine del 18 giugno), ha deciso di bruciare le tappe e approvare senza particolare preavviso il provvedimento previsto dal Dlgs n. 50/2016.

Dall’assemblea siciliana, allora, arrivano reazioni a caldo negative, soprattutto perché il testo ribadisce che l’utilizzo delle sue tabelle resta facoltativo per le stazioni appaltanti.
Il Dm avvia la fase di attuazione del Codice appalti fuori dal recinto dell’Anac: si tratta del primo provvedimento del pacchetto che non riguarda l’Anticorruzione. L’articolo 24 comma 8 del Dlgs, infatti, prevede che un decreto della Giustizia, concertato con il Mit, deve approvare le tabelle dei corrispettivi «commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione dei servizi di architettura ed ingegneria».

Nella pratica, con il provvedimento si fissano le modalità di calcolo degli importi da mettere a base di tutte le gare pubbliche del settore. Nel merito, non ci sono grandi novità: i parametri restano praticamente gli stessi già indicati dal Dm n. 143/2013, che fissava le regole relative al vecchio Codice appalti.

Il pezzo più rilevante del testo non riguarda le tabelle, ma le modalità della loro applicazione. L’articolo 1, infatti, stabilisce che i corrispettivi regolati dal testo «possono essere utilizzati dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo dell’affidamento». Resta, in sostanza, una semplice facoltà in capo alle stazioni appaltanti. È una scelta che lascia molto scontenti i professionisti. Anche il Codice appalti, infatti, parla di facoltà, ma alcuni vecchi orientamenti dell’Anac avevano sollecitato l’introduzione di un obbligo. Con queste regole, di fatto, il ministero assume una posizione sfavorevole ad architetti, ingegneri e geometri, dal momento che le amministrazioni avranno mano libera nella determinazione dei loro compensi nelle gare pubbliche.

«Siamo molto delusi, per noi la battaglia per l’obbligatorietà è fondamentale – spiega il consigliere tesoriere del Cni, Michele Lapenna -. Questa decisione è incompatibile con il principio della centralità della progettazione e rischia di cambiare il nostro giudizio sull’intero Codice». Non piace il metodo con il quale è stato approvato il provvedimento.

«Sono rimasto senza parole, anche perché sul vecchio decreto c’era stata una grande collaborazione». E non piace nemmeno il fatto che questo Dm sarà transitorio: un altro decreto del Mit, a breve, dovrà definire lo studio di fattibilità come primo livello di progettazione. Sostituirà il preliminare e sarà più complesso. Quindi, andrà pagato di più. Questo Dm, a quel punto, risulterà obsoleto. «Non comprendiamo – conclude Lapenna – perché si perde tempo a pubblicare un testo che tra poco andrà sostituito». (Fonte: Edilizia e Territorio)