Tutela e valorizzazione dei boschi: al via la nuova disciplina

Il Decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 “Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali” – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 92 del 20 aprile 2018 e in vigore dal 5 maggio scorso – interviene a riformare la normativa forestale per adeguarla al mutato contesto economico-sociale e garantire una nuova gestione del patrimonio boschivo riconosciuto come “parte del capitale naturale nazionale” e come “bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future” (art. 1).

L’obiettivo della nuova normativa è quello di garantire la fondamentale funzione eco-sistemica ed idrogeologica dei boschi ma, allo stesso tempo, promuoverne una gestione attiva e razionale in grado di contrastare l’abbandono e il declino demografico delle aree montane del Paese, sviluppando nuove “economie verdi” e crescita occupazionale. Anche questo provvedimento, pertanto, si inserisce in quel percorso politico e istituzionale – del quale fanno parte altre iniziative come la Legge 158/2017 per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, la Legge 168/2017 sui domini collettivi e la Strategia per lo sviluppo delle aree interne del Paese di cui all’art. 1, comma 13 della Legge 147/2013 – che intende contrastare lo spopolamento dei centri urbani più piccoli a favore di quelli grandi e medi e a riconoscerne e favorirne il ruolo di “presidio territoriale” soprattutto per le attività di contrasto al dissesto idrogeologico e di piccola e diffusa manutenzione dei beni comuni.

La materia forestale è strettamente legata sia a quella sul governo del territorio, sia in particolare a quella paesaggistica contenuta nel Decreto Legislativo 42/2004 che all’art. 142 impone per legge un vincolo paesaggistico sui “territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’art. 2, commi 2 e 6 del D.lgs. 227/2001”. Poiché l’art. 18 del D.lgs. 34/2018 abroga espressamente il D.lgs. 227/2001 d’ora in avanti il riferimento per l’individuazione dei boschi soggetti a vincolo paesaggistico sarà la definizione di bosco fornita dall’art. 3, comma 3 del nuovo decreto.

Di seguito l’illustrazione delle norme del Testo Unico foreste di principale interesse in particolare per il settore privato.

Definizione di bosco (Art. 3, commi 1, 3 e 4)

Premesso che i termini “bosco”, “foresta” e “selva” sono equiparati (art. 3, comma 1), “per le materie di competenza esclusiva dello Stato” (e dunque anche ai fini paesaggistici) sono definite bosco “le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento” (art. 3, comma 3).

Tale definizione ricalca nella sostanza la definizione fornita dal Dlgs. 227/2001 (dall’art. 2, co. 6) con la differenza però che quest’ultima aveva natura transitoria in attesa delle definizioni fornite dalle Regioni e comunque laddove non diversamente già definito dalle stesse.

Le regioni, in base alla nuova normativa, potranno  adottare, per quanto di loro competenza e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche, una definizione integrativa di bosco rispetto a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco di cui, rispettivamente, agli articoli 4 e 5, purché non venga diminuito il livello di tutela e conservazione così assicurato alle foreste come presidio fondamentale della qualità della vita” (art. 3, comma 4).

Aree assimilate a bosco (Art. 4)

Per le materie di competenza esclusiva dello Stato, fatto salvo quanto già previsto dai piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono assimilati al bosco:

a)  le formazioni vegetali di specie arboree o arbustive in qualsiasi stadio di sviluppo, di consociazione e di evoluzione, comprese le sugherete e quelle caratteristiche della macchia mediterranea, riconosciute dalla normativa regionale vigente o individuate dal piano paesaggistico regionale ovvero nell’ambito degli specifici accordi di collaborazione stipulati, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dalle regioni e dai competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il particolare interesse forestale o per loro specifiche funzioni e caratteristiche e che non risultano già classificate a bosco;

b)  i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, di miglioramento della qualità dell’aria, di salvaguardia del patrimonio idrico, di conservazione della biodiversità, di protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale;

c)  i nuovi boschi creati, direttamente o tramite monetizzazione, in ottemperanza agli obblighi di intervento compensativo di cui all’articolo 8, commi 3 e 4;

d)  le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva a causa di interventi antropici, di danni da avversità biotiche o abiotiche, di eventi accidentali, di incendi o a causa di trasformazioni attuate in assenza o in difformità dalle autorizzazioni previste dalla normativa vigente;

e)  le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o come prati o pascoli arborati;

f)  le infrastrutture lineari di pubblica utilità e le rispettive aree di pertinenza, anche se di larghezza superiore a 20 metri che interrompono la continuità del bosco, comprese la viabilità forestale, gli elettrodotti, i gasdotti e gli acquedotti, posti sopra e sotto terra, soggetti a periodici interventi di contenimento della vegetazione e di manutenzione ordinaria e straordinaria finalizzati a garantire l’efficienza delle opere stesse e che non necessitano di ulteriori atti autorizzativi.

Aree escluse dalla definizione di bosco (Articolo 5, comma 2)

Per le materie di competenza esclusiva dello Stato, fatto salvo quanto previsto dai piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non rientrano nella definizione di bosco, tra l’altro, gli spazi verdi urbani quali i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i vivai, compresi quelli siti in aree non forestali, gli arboreti da seme non costituiti ai sensi del decreto legislativo 10 novembre 2003, n. 386, e siti in aree non forestali, le coltivazioni per la produzione di alberi di Natale, gli impianti di frutticoltura e le altre produzioni arboree agricole, le siepi, i filari e i gruppi di piante arboree”.

Sempre ai fini delle materie di competenza esclusiva dello Stato, fatto salvo quanto previsto dai piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non sono considerati bosco, esclusivamente ai fini del ripristino delle attività agricole e pastorali o del restauro delle preesistenti edificazioni, senza aumenti di volumetrie e superfici e senza l’edificazione di nuove costruzioni, tra l’altro:

“c)  i manufatti e i nuclei rurali già edificati che siano stati abbandonati e colonizzati da vegetazione arborea o arbustiva a qualunque stadio d’età”.

Tale norma, di carattere innovativo, intende correttamente incentivare la riqualificazione e valorizzazione del patrimonio edilizio esistente a carattere rurale, ma presenta alcune criticità, peraltro evidenziate dall’Ance durante l’iter approvato di approvazione del provvedimento.

Desta forti perplessità la parte in cui si esclude la presenza di boschi per incentivare il restauro di manufatti e nuclei rurali in stato di abbandono ma a condizione che l’intervento avvenga “senza aumenti di volumetrie e superfici e senza l’edificazione di nuove costruzioni”.

Premesso che il termine restauro è utilizzato in modo improprio e limitativo poiché vi sono anche altre tipologie di intervento, che permettono di portare a nuova vita manufatti abbandonati, la norma avrebbe dovuto contenere o un riferimento generico alla riqualificazione del fabbricato lasciando così l’individuazione della tipologia esatta di intervento da intraprendere al soggetto interessato ovvero un richiamo agli interventi previsti dal Dpr 380/2001 “Testo Unico Edilizia” che possono permettere la rigenerazione e il riuso dell’edificato e cioè la manutenzione straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia. 

Inoltre la rivitalizzazione dei manufatti dismessi o abbandonati in molti casi passa necessariamente attraverso la creazione di superfici/volumi aggiuntivi sia per garantire l’adeguamento alle normative antisismiche, del risparmio energetico ecc., sia per rispondere ad oggettive necessità legate alla conduzione del fondo agricolo/forestale che possono arrivare anche a richiedere la creazione di nuovi manufatti.

Le leggi regionali sull’urbanistica e sull’agricoltura, così come gli strumenti urbanistici comunali tengono generalmente conto di queste esigenze e, a tal fine, prevedono la possibilità di realizzare sia ampliamenti del patrimonio edilizio finalizzato all’attività agricola (compresa l’abitazione dei conduttori del fondo), sia nuove costruzioni.

Pertanto l’art. 5, comma 2 rischia non solo di limitare fortemente la riqualificazione di questi manufatti e di non centrare l’obiettivo generale della rivitalizzazione delle aree boschive, montane e rurali, ma addirittura di essere in contrasto con le normative relative alla realizzazione di fabbricati per le attività agricole, mentre, per garantire effettivamente l’obiettivo della riqualificazione del patrimonio edilizio rurale abbandonato, avrebbe dovuto essere meglio coordinato sia con la normativa regionale sul governo del territorio, sia con il Dpr 380/2001.