La cessione dell’immobile da demolire non configura cessione d’area

L’Agenzia delle Entrate non può riqualificare la cessione a titolo oneroso di un immobile da demolire e ricostruire come cessione di terreno edificabile. In tal caso l’oggetto dell’atto di compravendita ossia il terreno già edificato, prevale rispetto all’intenzione di sfruttare l’ulteriore capacità edificatoria dell’area attraverso demolizione e ricostruzione dell’esistente. La distinzione fra edificato e “non ancora edificato” è un’alternativa esclusiva che non ammette una terza soluzione.

La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 5088 del 21 febbraio 2019che affronta il tema della cessione di un immobile da demolire e ricostruire,recepisce quanto sostenuto dall’Ance in merito alla prevalenza della situazione oggettiva della cessione (esistenza del fabbricato) rispetto alla realizzazione, tramite demolizione e ricostruzione, dell’immobile che fa emergere l’area edificabile.

La questione, nel caso di specie, riguardava la cessione a titolo oneroso di un vecchio edificio adibito a civile abitazione posta in essere da una contribuente a favore di una società immobiliare. Secondo pattuizione l’alienante avrebbe ricevuto in permuta due unità immobiliari da costruirsi in luogo dell’edificio demolito. L’operazione prevedeva l’abbattimento dell’edificio consistente in due appartamenti, due box ed un ripostiglio a fronte della ricostruzione di un plesso con nove appartamenti, nove autorimesse, nove cantine più tre vani sottotetto di pertinenza dei tre appartamenti dell’ultimo piano.

Una volta avvenuta l’operazione, l’Amministrazione finanziaria aveva notificato alla contribuente un avviso di accertamento in ordine alla plusvalenza da cessione di terreni, ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett. b), del DPR 917/1986 (TUIR), più le sanzioni. Tale pretesa muoveva dalla riqualificazione dell’atto di cessione dell’immobile come cessione di terreno edificabile[1].

Si ricorda che ai sensi dell’art. 67 del TUIR le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni “suscettibili di utilizzazione edificatoria” rientrano tra i “redditi diversi” e sono soggette a tassazione separata.

Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria riqualificava l’atto di vendita dell’immobile come atto di cessione dell’area edificabile, in considerazione della volontà delle parti di “estrarre la massima potenzialità edificatoria del terreno”, nonché per la previsione pattizia di abbattere l’edificio e assolvere le rispettive obbligazioni con la permuta delle unità abitative nel nuovo edificio.

La Corte di Cassazione chiamata, in ultimo grado, a decidere in merito alla portata dell’art. 67 sopra citato e al potere dell’Amministrazione finanziaria di interpretare il contratto guardando alla comune intenzione delle parti ai sensi dell’art. 1362 del Cod. Civ. anche in base al comportamento successivo alla stipula, concludeva, invece, in senso contrario[2].

Ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’art. 67 del TUIR, secondo quanto precisato dalla suprema Corte, è la destinazione edificatoria conferita all’area non edificata in sede di pianificazione urbanistica e non quella ripristinataconseguente all’intervento sull’area già edificata.

La Corte afferma, citando giurisprudenza pregressa (cfr. Cass. n.4150/2014, n.15629/2014, n.7853/2016), che scopo dell’art. 67 è prevedere forme separate di tassazione della plusvalenza connessa alla cessione di un terreno cui è stata attribuita, in sede di pianificazione, una capacità edificatoria tale da renderlo più appetibile di prima, non l’aumento di carico edilizio connesso alle potenzialità edificatorie del terreno.

Infatti l’incremento del carico edilizio non sarà esente da oneri fiscali, in quanto  assoggettato agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre che alla percentuale sul costo di costruzione già al momento di rilascio del titolo edilizio. Successivamente il bene sarà tassato secondo le regole proprie delle imposte sul reddito, tanto al momento di venuta ad esistenza, quanto nel momento di cessione.

Non è quindi possibile, conclude la Corte «porre a carico del venditore dell’edificio sorto su terreno (già) edificabile una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata, perché si tratterebbe di porre su un soggetto diverso (il venditore) una tassazione che il legislatore ha fissato già in capo al compratore. Né si deve pensare che in tal modo il venditore si sottragga ai propri obblighi fiscali: infatti nel prezzo di cessione dell’edificio, come nella rendita catastale, è computata anche la capacità edificatoria inespressa».

In conclusione, sul punto, la Corte enuncia i seguenti principi di diritto:

a) la distinzione fra edificato non ancora edificato è un’alternativa esclusiva che non ammette una terza soluzione;

b) la cessione di un edificio non può essere riqualificata come cessione del terreno edificabile sottostante, anche se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste;

c) nella cessione di edificio, la pattuizione delle parti di demolire e ricostruire, anche con ampliamento di volumetria, non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile;

d) il potere generale dell’Amministrazione finanziaria di riqualificare un negozio giuridico in ragione dell’operazione economica sottesa trova un limite nell’indicazione tassativa del legislatore che per la cessione di edifici ha previsto un regime fiscale/temporale e per la cessione di terreni edificabili un diverso regime fiscale.

 [1] Sul punto l’Agenzia delle Entrate confermava l’orientamento espresso nella Risoluzione 395/E/2008.

[2] Si ricorda che l’Amministrazione finanziaria con la Circolare n.28/E del 21 giugno 2011, nel caso di una cessione di fabbricato destinato ad essere demolito e ricostruito, aveva ammesso – esclusivamente ai fini Iva (e non anche ai fini delle imposte dirette) – la stretta correlazione tra il regime di tassazione e la natura oggettiva del bene ceduto a prescindere dall’uso e dalla destinazione successivi. Si evidenza, invece, che con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione riconosce la validità del principio, sia sotto sia sotto il profilo delle imposte dirette che sotto il profilo delle imposte indirette.