Distanze fra costruzioni: quando si applicano i limiti del DM 1444/1968

L’art. 9 del DM 1444/1968 prescrive per i nuovi edifici ricadenti in zone diverse dalla zona A “la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (comma 1, n. 2), mentre sono ammesse distanze inferiori solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano-volumetriche comma 3, ultimo periodo).

La giurisprudenza è costante nel ritenere che si è in presenza di una norma inderogabile posta a garanzia di esigenze collettive connesse all’igiene e alla sicurezza, laddove la tutela del diritto di proprietà degli immobili circostanti è assicurata dalla disciplina delle distanze fra costruzioni prevista dal Codice civile.

Nella sentenza della sezione IV, 14 settembre 2017, n. 4337, il Consiglio di Stato è tornato sul tema dei limiti di distanza fra costruzioni, affermando alcuni principi innovativi e cioè:

  • l’art. 9, comma 1, n. 2 del DM 1444/1968riguarda la nuova pianificazione del territorio e quindi i nuovi edifici, intendendosi per tali gli edifici o parti di essi (es. sopraelevazioni) costruiti per la prima volta. L’art. 41 quinquies della Legge 1150/1942, del resto, ha previsto limiti inderogabili di densità edilizia, altezza distanza, ecc. ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti;
  • l’art. 9, comma 1, n. 2 del DM 1444/1968non riguarda gli interventi sul patrimonio edilizio esistente e dunque gli immobili che costituiscono il prodotto della demolizione di immobili preesistenti con successiva ricostruzione; in questi casi infatti l’applicazione del limite di 10 metri comporterebbe un arretramento dell’edificio rispetto all’allineamento degli altri fabbricati preesistenti con conseguente perdita coattiva di volume (una sorta di espropriazione del diritto di proprietà) e realizzazione di intercapedini, rientranze e spazi chiusi nocivi per l’igiene e la salubrità;
  • per stabilire se un intervento è soggetto al limite inderogabile di distanza di 10 metri non rileva, come nel caso esaminato nella sentenza,che sia qualificato come “nuova costruzione” e che sia stato oggetto di permesso di costruire (in particolare si trattava di una demolizione con ricostruzione di un edificio completamente diverso per tipologia e destinazione d’uso);
  • ciò che rileva per l’applicazione del limite inderogabile di distanza di 10 metri non è la formale definizione dell’intervento, ma il dato concreto della preesistenza di un immobile che si trova a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 9, comma 1, n. 2.